Lidio Delfini
Chef Executive
L'arte nella cucina
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Capital (Marzo 2003)
GENTE DI CITTA/2
A Walter Veltroni è venuto un colpo. Il Blue Note a Milano.
A Milano, non a Roma. Gliel’ho detto: «Sindaco, hai fatto diventare Roma la capitale europea del jazz, ma a Milano vi abbiamo fregato:
il 19 marzo apre il Blue Note». C’è rimasto male. Gli sarebbe piaciuto avere lui l’idea. Ma Roma è capoccia e Mila no operosa. Così l’ex capitale morale avrà uno dei jazz club più celebri del mondo. In via Borsieri 37, quartiere Isola. Beffa delle beffe: è il quartiere do ve è nato Silvio Berlusconi. Beffa delle beffe numero 2: l’idea è venuta a un gruppo di avvocati d’affari. Roba da farci un girotondo se non fosse per l’a spetto gentile e i toni cordiali del capo comitiva, Paolo Colucci. È un avvocato napoletano di madre inglese e di re sidenza milanese, innamorato del jazz.
Lavorava a New York, andava al Blue Note, uno dei templi della sua musica preferita. Una sera di una quindicina d’anni fa si accorse che il ragazzo seduto li accanto era il suo amico Giovanni Lega. Avvocato, naturalmente. Ci scherzano ancora adesso: in quel preciso istante è nata l’idea di aprire insieme un jazz club. («Un sogno che è rimasto a lungo nel cassetto», mi dice compiaciuto Colucci. Ora Colucci e Lega ce l’hanno fatta. Si parte il 19 marzo con il trio di Chick Corea. Suonerà sei sere di fila, due set per sera. Come a New York. Una cosa mai vista in Italia. I due avvocati non stanno più nella pelle. E con loro gli altri soci. Ci lavorano dal Natale del 2000 a questo progetto. La cosa più difficile è stata convincere i proprietari del Blue Note, in un primo momento disinteressati ad aprire un club in Europa dopo i quattro in Giappone.
Il Blue Note americano aprì proprio negli anni Ottanta al Village, e in breve tempo è diventato leggendario. Come e più del Village Vanguard, del Birdland o dell’Iridium. Una ragione c’è. Anzi ce n’è più d’una. Intanto la musica. Al Blue Note hanno suonato i gran di del jazz. È un posto fantastico per suonare e per ascoltare il jazz. L’acustica è ottima, gli artisti sono a un passo dal pubblico. Al Blue Note scatta qualcosa, i musicisti avvertono l’emozione della sala. Good vibrations, si dice. Non è un caso che qui siano stati regi strati decine di dischi live.
Poi c’è la tradizione, il nome, il blu. Blue Note è il nome di una delle più importanti etichette discografiche del jazz, entrata nella storia negli anni Sessanta per il suo caratteristico suono e per la strepitosa grafica delle sue copertine. Perché non aprire un Blue Note a Milano, dunque? Dopo lunghe e faticose trattative, gli avvocati del jazz sono riusciti a convincere i proprietari americani. L’11 settembre ha complicato un po’ le cose, qualcuno si è tirato indietro. Ma il gruppo è rimasto. Sono tutti amici, avvocati, imprenditori, un notaio. Non tutti appassionati di jazz. Lo spirito è cameratesco. Scherzano e si divertono, come se stessero organizzando un veglione di Carnevale invece che un business comunque complicato, Sono ultraquarantenni, giocare à calcetto ormai è dura. Meglio giocare a fare i proprietari di club, ed ecco il Blue Note. Roberto Albertazzi, avvocato e collezionista di quadri e orologi, immagina di essere ai tempi del proibizionismo: «Sono un avvocato trasgressivo», mi dice. Luigi Imperlino, avvocato napoletano, s’inventa sul momento una definizione per spiegare l’infatuazione per il jazz: «Gli avvocati amano il jazz, perché il jazz è una musica senza legge». È vero, il jazz è informale, musica improvvisata, composizione istantanea. Nick the Nìghtfiy lo sa benissimo. É quasi a disagio di fronte alla vene degli avvocati del jazz. Ma è felicissimo che abbiano pensato a lui come superconsulente per la direzione musicale del locale. Nick avrà a disposizione un’orchestra residente e condurrà in diretta dal club la sua trasmissione su Radio Monte Carlo: «Ci sarà sempre buona musica qui. Il lunedì suoneranno gli italiani, non necessariamente jazzisti. Grazie al B Note network porteremo a Milano le grandi leggende del jazz, ma il club sarà aperto anche ad altri generi». Antonio Zeni è il direttore del locale, e già fa l’elenco dei primi grandi nomi: dal 19 al 24 Chick Corea, dal 25 al 27 Brandford Marsalis, poi Larry Corryell, Doctor 3, McCoy Tyner, Paolo Fresu e lo strepitoso gruppo di Lou Donaldson. Dico agli avvocati di aver assistito a NewYork al con certo di Donaldson, imo dei più divertenti che abbia mai visto. Agli avvocati del jazz brillano gli occhi. Poi però aggiungo:
«Al Blue Note di New York si mangia malissimo». Lo sanno. E mi presentano la loro arma segreta: Lidio Delfini. È un Maestro di cucina ed Executive chef, titolo di cui si possono vantare soltanto 101 cuochi italiani. Si mangerà benissimo, giurano. Paolo Colucci non vede l’ora che si cominci, e mi dice: «Veltroni lo invitiamo di sicuro. Hai un numero?».
CHRISTIAN ROCCA
Rassegna Stampa.
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